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Sopravvivenza: i 4 pilastri che ci salvano la vita

Cosa succede quando una serie di sfortunate coincidenze ci mettono seriamente in difficoltà e sfidano la nostra capacità di provetti survivalist? Magari nella nostra gita autunnale ci siamo spinti più in là del solito, in un territorio che non conosciamo, e la giornata già non proprio soleggiata, ha cambiato decisamente faccia virando verso un minaccioso livido che non promette nulla di buono…

La situazione è questa: si scatenano gli elementi e ci troviamo nel bel mezzo di una tempesta di vento e acqua, con le temperature che scendono rapidamente. D’accordo, siamo inzuppati ma niente di grave, fa parte del gioco. Poco male, torniamo indietro? Un momento, questa non pare proprio la strada che abbiamo fatto per salire quassù e al tramonto non manca molto. Freddo? Sì, ovviamente, e magari non siamo soli e sentiamo il peso della responsabilità nei confronti dei nostri amici o della nostra famiglia.
Siamo mediamente esperti di escursioni e vita all’aperto e quindi non ci facciamo prendere dal panico, ma come procediamo? Accendiamo un fuoco? Proviamo a costruire un riparo?

Siate preparati nello spirito, per aver riflettuto in anticipo su ogni accidente o situazione che possa presentarsi, in modo da sapere la giusta cosa da fare al momento opportuno ed essere decisi a compierla. Siate preparati nel corpo, per esservi resi attivi, forti e capaci di fare la giusta cosa nel momento opportuno e farla.

Sir Robert S. Baden – Powell


 

Prima di tutto: cercare aiuto

Per prima cosa, cerchiamo di non bagnare il cellulare e proviamo a chiamare i numeri del soccorso: mettiamo da parte l’orgoglio, in questi casi è sempre un cattivo consigliere. Se riusciamo a ricevere rassicurazioni circa un rapido intervento (parliamo di escursioni relativamente vicine a luoghi abitati, altra cosa è trovarsi nel mezzo di una tormenta nello Stato del Nunavut, Canada), non resta che provare ad accendere un fuoco, se possibile, anche per aiutare la squadra di soccorso ad individuarci.

Ma se non fossimo riusciti a contattare i soccorsi perché il cellulare è scarico o si è rotto cadendo mentre facevamo qualche selfie ardito? Forse abbiamo avvisato qualcuno della nostra gita e del nostro percorso. Non in tempi rapidissimi, ma il mancato rientro della sera e l’impossibilità a mettersi in contatto con noi, attiverebbe delle ricerche. Però a questo punto sarebbe conveniente trovare un riparo o cercare di costruirne uno con dei rami, la nostra tenda o anche la stuoia utilizzata per la sosta del pranzo.

Purtroppo qui dobbiamo valutare il peggio e quindi ipotizziamo che nessuno sappia dove siamo. Magari abbiamo preso una botta e siamo costretti a camminare lentamente e non sappiamo davvero quale direzione prendere. Potrebbe passare la notte e non solo quella prima di raggiungere la salvezza, sia essa un’aiuto esterno che semplicemente il nostro mezzo, parcheggiato tra gli alberi. E’ a questo punto che dobbiamo tirare fuori i pilastri della sopravvivenza. Qualora non li conosceste sono questi, in un ben ponderato ordine: rifugio, acqua, fuoco, cibo.

 

È ora di sporcarsi le mani

Un rifugio ci garantisce qualche grado in più trattenuto dal corpo. Più che la temperatura che difficilmente sarà più altra che all’esterno, è il vento che strappa calore al nostro corpo, magari già bagnato per la pioggia. Occorre ricordare che l‘ipotermia può uccidere in poche ore.

Posto rimedio all’esigenza più impellente, dobbiamo pensare all’acqua. Dovremmo averne sempre una scorta, ma in caso di pioggia potremmo raccoglierne con il materiale che abbiamo con noi. In assenza di pioggia, occorre aver memorizzato la posizione di ruscelli, sorgenti in modo da poterli raggiungere. Senza acqua siamo in grado di resistere solo pochi giorni.

In terza posizione arriva il fuoco. Si può rimanere relativamente al caldo con un rifugio improvvisato e con i nostri stessi indumenti, purché asciutti, ma il fuoco è un investimento che non ha eguali per chiunque si trovi in difficoltà immersi nella natura selvaggia. Il fuoco fornisce calore, luce, acqua sicura (attraverso l’ebollizione), cibo cotto e pure un mezzo per segnalare la nostra presenza.

Per ultimo viene il cibo. Se la nostra situazione di emergenza ci vede dispersi per alcuni giorni, sebbene si possa resistere ai morsi della fame, è bene cercare di non indebolirsi troppo, soprattutto in un clima freddo. Le  fonti principali di nutrimento sono due, quella animale e quella vegetale. Mentre la prima è più difficile da ottenere, se non si è equipaggiati, è la più sicura. Questo perché le piante non sono tutte commestibili e quindi, a meno di non conoscere bene quelle del territorio (è cosa saggia oltre che interessante prendersi del tempo per studiare flora e fauna degli ambienti che andiamo ad esplorare), sarebbe bene non rischiare di peggiorare la situazione con dei dolori di stomaco, se non peggio.

Questo è l’ABC, in poche righe, che ogni amante dell’outdoor dovrebbe conoscere per poter valutare le priorità in caso di pericolo. Una buona dose di conoscenza di Primo Soccorso non guasta mai, così come un piccolo corredo che ci permetta di segnalare la nostra presenza in condizioni critiche: fischietti, segnali luminosi, fuochi di segnalazione, tutto quello che può attirare l’attenzione dei soccorsi. Potrebbe bastare solo questo a far la differenza tra il tornare presto a casa e il dover affrontare momenti molto difficili. 

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